D.Lgs. 231 del 2001 – Analisi Sentenza 38363/2018 – Interesse e vantaggio

Decreto legislativo 231 del 2001 principi di diritto

Con la sentenza n. 38363 del 2018 la Suprema Corte di Cassazione, in relazione al D.Lgs. 231 del 2001 Responsabilità amministrativa degli enti e società”, ha espresso alcuni principi di diritto relativamente ai concetti di vantaggio ed interesse nei reati colposi ex art. 25 septies.  Abbiamo già parlato in generale della responsabilità degli enti e delle società in un altro articolodella sua presenza all’interno del concetto di compliance aziendale nonché dell’autonomia processuale e sostanziale dell’ente. Con il presente articolo analizzando i principi di diritto espressi dalla Corte di Cassazione riguardanti la responsabilità dell’ente. Approfondiamo i concetti  di vantaggio ed interesse della società previsti dall’art. 5 del D.Lgs. 231 del 2001 in relazione ai reati colposi previsti dall’articolo 25 septies. (Scarica la Sentenza n. 38363 del 2018).

D.Lgs. 231 del 2001 – Gli articoli di riferimento.

Art. 5. “Responsabilità dell’ente”.

1. L’ente e’ responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unita’ organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonche’ da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

2. L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

Art. 25-septies “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”

1. In relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell’articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

3. In relazione al delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi.

Prime riflessioni.

Nell’originaria stesura del D.Lgs. 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, non erano presenti come reati presupposti. I reati di omicidio o lesioni colpose che sono stati introdotti nel 2007 con l’articolo 25 septies.  Soffermiamoci, per quanto riguarda l’analisi di oggi, sul primo periodo del primo comma dell’articolo 5. L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio.

La prima domanda da porsi è come sia possibile individuare la responsabilità dell’ente in presenza di morte o lesioni colpose causate dalle persone fisiche previste dal decreto, se il criterio oggettivo indispensabile per ritenere la sussistenza di tale responsabilità è quello della commissione del reato nell’interesse o avantaggio dell’ente. Per loro natura i reati colposi, fondati sulla mancata volontà dell’evento lesivo, appaiono radicalmente inconciliabili con l’idea stessa di interesse e vantaggio dell’ente. Nessun interesso o vantaggio può essere perseguito dalla persona fisica che si renda autrice di un delitto colposo. Per definizione un reato in cui l’evento è involontario è anche assolutamente in contrasto, per sua stessa natura, con qualsivoglia interesse per l’ente.

E’ pur vero che, ipotizzare che i delitti colposi siano inconciliabili con il D.Lgs. 231 del 2001, significherebbe abrogare di fatto l’articolo 25 septies introdotto nel 2007. La giurisprudenza ha pertanto elaborato un criterio di compatibilità che ha permesso di mantenere operativo l’articolo 25 septies. 

Il criterio di compatibilità stabilito dalla Suprema Corte.

In generale.

Il criterio è composto fondamentalmente da due aspetti.

Il primo aspetto è stato elaborato dalla Suprema Corte nel 2014 ed espresso nella sentenza a Sezioni Unite N. 38343. Nei delitti colposi, l’interesse o vantaggio dell’ente, di cui all’art. 5, non deve riferirsi alla commissione dell’evento del reato, ma deve riguardare unicamente la condotta. 

Il secondo aspetto riguarda la valutazione del concetto di interesse e vantaggio in relazione alla colpa. Nonostante esistano teorie c.d. unitarie, per cui interesse e vantaggio incarnerebbero sostanzialmente un unico criterio, trattandosi di tautologica ripetizione del medesimo concetto tramite due termini differenti, in giurisprudenza si è affermata la più corretta teoria per cui si tratterebbe di criteri diversi ed alternativi. In particolare in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche e delle società, l’espressione normativa “nel suo interesse o a suo vantaggio”, non contiene un’endiadi. I termini riguardano concetti giuridicamente profondamente diversi tra loro. Infatti è possibile distinguere un interesse “a monte” per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell’illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato ex ante, sicché l’interesse ed il vantaggio sono in concorso reale. 

I due parametri operano quindi su piani differenti. L’interesse è un carattere soggettivo ed indagabile ex ante consistente nella prospettazione finalistica di arrecare un interesse all’ente mediante il compimento del reato. Si precisa che a nulla vale il raggiungimento effettivo o meno dell’interesse. Il vantaggio ha un carattere oggettivo da valutarsi ex post consistente nell’effettivo godimento da parte dell’ente di un vantaggio concreto dovuto alla commissione del reato.

In relazione ai reati colposi di morte e lesioni.

Ultimo tassello del ragionamento è dato dall’applicazione di tali criteri ai reati colposi. È proprio su questo punto che il ricorrente incentra le proprie doglianze, ed è proprio su tale profilo che le due sentenze di merito divergono. Sulla scorta dell’impostazione tracciata dalle Sezioni Unite sul caso ThyssenKrupp, e dunque sulla base della distinzione dei due criteri che si è sopra riportata, la giurisprudenza ha stabilito come debbano essere intesi l’interesse ed il vantaggio in riferimento ai delitti colposi di cui all’art. 25-septies, d.lgs. n. 231 del 2001.

Si è chiarito che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell’art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001 all’interesse o al vantaggio, sono alternativi e concorrenti tra di loro e devono essere riferiti alla condotta anziché all’evento, pertanto, ricorre il requisito dell’interesse qualora l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente, mentre sussiste il requisito del vantaggio qualora la persona fisica ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto (Sez. 4, n. 2544 del 17 dicembre 2015, Gastoldi ed altri, Rv. 268065; Sez. 4, n.24697 del 20 aprile 2016, Mazzotti e altro, Rv. 268066).

Il principio di diritto.

Sulla base di quanto affermato sin ora, la Suprema Corte ha affermato più principi di diritto.

Il primo principio di diritto:

In tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione oggettiva del reato all’ente, di cui all’art. 5, d.lgs. 231 del 2001, sono fra loro giuridicamente diversi. L’interesse è criterio soggettivo, da valutare ex ante. Consistente nella proiezione finalistica che caratterizza l’agire del reo, il quale spera nel raggiungimento di un qualche profitto per l’ente come conseguenza della commissione del reato, indipendentemente dall’effettivo ottenimento di tale profitto. Il vantaggio, invece, è criterio oggettivo, accertabile ex post e consistente  nell’oggettivo e concreto vantaggio derivato all’ente dall’agire del reo come conseguenza del reato.

Il secondo principio di diritto:

In tema di responsabilità da reato degli enti, in relazione ai reati colposi contro la vita e l’incolumità personale commessi in violazione della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro, di cui all’art. 25-septies, d.lgs. 231 del 2001, i criteri dell’interesse e del vantaggio devono essere indagati in riferimento alla sola condotta del soggetto agente, e non anche all’evento del reato.

Il terzo principio di diritto:

In tema di responsabilità da reato degli enti, in relazione ai reati colposi contro la vita e l’incolumità personale commessi in violazione della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro, di cui all’art. 25-septies, d.lgs. 231 del 2001, i criteri dell’interesse e del vantaggio di cui all’art. 5 del medesimo decreto devono essere intesi nel senso che il primo sussiste in ogni caso in cui la persona fisica penalmente responsabile abbia violato la normativa antinfortunistica con il consapevole intento di ottenere un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento; mentre il secondo sussiste in ogni caso in cui la persona fisica abbia sistematicamente violato la normativa antinfortunistica, ricavandone, oggettivamente, un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio.

L’entità del vantaggio, che non può certo essere irrisoria, è rimessa alla valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove congruamente ed adeguatamente apprezzata.

Conclusioni.

La responsabilità penale degli enti e delle società realizza una flessione del principio espresso dal brocardo societas delinquere non potest. La giurisprudenza ha oramai pacificamente riconosciuto che il Decreto legislativo 231 è un terzium genus, coniugando tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configurando un sistema di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza. Premesso questo è da ritenersi normale che la giurisprudenza, per perseguire i principi ispiratori della norma, trovi delle soluzioni ai contrasti ed alle contraddizioni come nel caso del combinato disposto dall’articolo 5 e articolo 25 septies.

Per qualsiasi ulteriore informazione o domanda sull’argomento potete contattare in forma privata l’Avv. Daniele Ingarrica mediante il form presente nella pagina contatti . Per lasciare invece un commento visibile a tutti sul blog andare in fondo alla pagina.

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