Il decreto legislativo 231 del 2001, nel prevedere una responsabilità amministrativa di enti e società per fatti costituenti reato commessi da soggetti in posizione apicale o dai dipendenti nell’interesse o vantaggio della società stessa (per conoscere l’orientamento giurisprudenziale in relazione ai concetti di interesse o vantaggio clicca qui), ha previsto anche una autonomia della responsabilità dell’ente completamente svincolata dagli altri ipotetici coimputati. L’autonomia deve essere valutata sotto un duplice profilo: sostanziale e processuale. Con la Sentenza n. 38363 del 2018 la Suprema Corte ha espresso in merito un principio di diritto.
L’autonomia della responsabilità dell’ente.
La responsabilità dell’ente è prevista dall’articolo 8 del D.Lgs. 231 del 2001 che recita:
- 1. La responsabilita’ dell’ente sussiste anche quando: a) l’autore del reato non e’ stato identificato o non e’ imputabile; b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.
- 2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell’ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l’imputato ha rinunciato alla sua applicazione.
- 3. L’ente può rinunciare all’amnistia.
In relazione al rpedetto articolo, la Cassazione ha effettuato due precisazioni di rilievo.
L’autonomia sostanziale.
La Corte di Cassazione con la sentenza 28299 del 2016 ha precisato che:
[…] l’ente è chiamato a rispondere dell’illecito anche quando l’autore del reato presupposto non è stato identificato. Invero, tra le ragioni all’origine dell’introduzione di forme di responsabilità diretta dell’ente c’è proprio quella di ovviare alle difficoltà di procedere all’individuazione dell’autore del reato nelle organizzazioni a struttura complessa, in cui più evidente appare il limite di un sistema che punti esclusivamente sull’accertamento della colpa della persona fisica: in questo modo il fattore umano non viene escluso dal tipo di responsabilità, ma si prende atto che la prevenzione del rischio-reato non è soltanto un problema di persone, ma soprattutto di organizzazione.
Se la responsabilità dell’ente è del tutto autonoma da quella della persona fisica, autrice del reato, non lo è rispetto alla obiettiva realizzazione del reato presupposto.
Certo, nelle ipotesi prese in considerazione dall’art. 8 cit., soprattutto con riferimento al caso della mancata identificazione della persona fisica, può venire a mancare uno degli elementi del reato, cioè la colpevolezza del soggetto agente, ma quando si parla di autonomia ciò che deve precedere, in via pregiudiziale, l’accertamento della responsabilità dell’ente è sì il reato, ma inteso come tipicità del fatto, accompagnato dalla sua antigiuridicità oggettiva, con esclusione della sua dimensione psicologica.
Pertanto:
per poter quindi considerare responsabile amministrativamente un ente, in assenza dell’identificazione del soggetto agente, è comunque necessario:
- riuscire ad individuare a quale categoria appartenga (soggetto apicale o dipendente);
- accertare che il soggetto agente non abbia agito nel proprio interesse ma nell’interesse o vantaggio dell’ente.
Solo quando il giudice è in grado di risalire, anche a livello indiziario, ad una delle due tipologie cui si riferiscono gli artt. 6 e 7 d.lg. cit., potrà pervenire ad una decisione di affermazione della responsabilità dell’ente, anche in mancanza dell’identificazione della persona fisica responsabile del reato, ricorrendo, ovviamente, gli altri presupposti.
L’autonomia processuale.
Come abbiamo potuto leggere, la responsabilità penale amministrativa dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231 del 2001 deve essere considerata, ex art. 8, autonoma rispetto a quella penale degli autori del reato sussistendo anche nel caso in cui questi non vengano accertati oltre che in alcune altre ipotesi.
Nè tale autonomia può venire meno in ambito processuale. Con sentenza n. 49056 del 2017 la Suprema Corte ha affermato che in tema di responsabilità da reato degli enti, la separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imutati del reato presupposto per effetto della scelta di riti aternativi non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell’ente, né riduce l’ambito della cognizione giudiziale. Pertanto, nemmeno l’assoluzione di uno degli imputati dal reato presupposto, può comportare automaticamente l’esclusione della responsabilità dell’ente. Salvo ovviamente che l’assoluzione non avvenga per insussistenza del fatto. Il giudice deve procedere ad una verifica del reato presupposto alla stregua dell’integrale contestazione dell’illecito formulata nei confronti dell’ente accertando la sussistenza o meno delle altre condotte poste in essere dai coimputati nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Sentenza Cassazione n. 38363/2018 – Principio di diritto.
Deve dunque affermarsi il principio di diritto per cui, in tema di responsabilità da reato degli enti, l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto, di cui all’art. 8, d.lgs. n. 231/2001, deve essere intesa nel senso che, per affermare la responsabilità dell’ente, non è necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale, ma è sufficiente un mero accertamento incidentale, purché risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 5, 6, 7 ed 8 del medesimo decreto. Conseguentemente, la posizione processuale dell’ente imputato deve intendersi a sua volta come autonoma rispetto a quella dei coimputati persone fisiche, non gravando sul giudice alcun obbligo di valutare, a favore dell’ente, atti difensivi prodotti in favore di altri soggetti processuali.
Conclusioni.
L’autonomia processuale della responsabilità dell’ente rispetto alle persone fisiche autori del reato è un parametro essenziale in relazione alle singole posizioni. L’ente si comporta in giudizio come un qualsiasi altro coimputato. Infatti ben potrebbe l’ente scegliere un rito abbreviato rispetto agli autori del fatto che potrebbero scegliere un rito ordinario o viceversa.
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