L’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa è un problema ancora attuale. Troppe volte le sentenze di condanna si fondano solo ed esclusivamente sulle dichiarazioni della vittima. Analizziamo insieme la sentenza n. 33280/2017 che chiarisce ancora una volta quali siano i limiti e le possibilità che ha il Giudice di utilizzare le dichiarazioni della persona offesa quale unica (o quasi) fonte di prova per emettere una sentenza di condanna.
Il fatto.
L’imputato veniva condannato per il delitto di atti persecutori nei confronti della ex compagna. A fondamento della dichiarazione della responsabilità penale c’erano le dichiarazioni della persona offesa (costituita anche parte civile) e le dichiarazioni dei genitori che confermavano quelle della figlia. La Corte di Appello, nel confermare la sentenza di primo grado, si era limitata a richiamare la sentenza appellata. Pertanto non aveva motivato autonomamente sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa che erano state contestate nell’atto di appello.
La sentenza.
La Corte di Cassazione già nel 2012 ed a Sezioni Unite (Sentenza n. 41461/2012) aveva affrontato il tema in questione affermando che le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p. comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa. L’articolo recita che: “Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”.
Le dichiarazioni della persona offesa possono quindi essere legittimamente poste a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto.
La citata sentenza in particolare ha affermato che:
Il vaglio positivo dell’attendibilità del dichiarante deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talchè tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva. Può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato (Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755).
Sulla base di questo principio la Suprema Corte con la sentenza n. 33280/2017 ha ribadito che:
[…] la Corte territoriale non poteva limitarsi a richiamare integralmente la motivazione dell’appellata sentenza […] ma avrebbe dovuto farsi carico di una autonoma e rinnovata valutazione di tale attendibilità, soprattutto in considerazione del fatto che il tribunale fondava tale valutazione principalmente sulla intrinseca attendibilità della t.. In assenza di tale valutazione si configura il vizio di carenza motivazionale, denunciato dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, e la sentenza deve essere annullata […]
La conflittualità tra le parti.
Nel caso di specie l’alta conflittualità era emersa in dibattimento con la rappresentazione di numerosi procedimenti sia civili che penali tra i soggetti. Una situazione del genere deve necessariamente richiedere una maggior attenzione da parte degli organi giudicanti. In particolare sulle dichiarazioni della persona offesa ed anche di coloro che sono legati affettivamente alla stessa.
Con questo non si vuole sostenere che le persone offese non devono essere ritenute attendibili, ma che (generalmente) una alta conflittualità può generare una visione della realtà leggermente distorta. A fronte di questa eventualità il Giudice deve necessariamente motivare in modo preciso e soddisfacente il motivo per il quale ritiene attendibili le dichiarazioni stesse. Così facendo si darebbe la prova di aver prestato una maggior attenzione nella valutazione delle dichiarazione delle persone offese.
Le conclusioni.
Pertanto nel caso di specie la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33280/2017, riprendendo i principi espressi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 41461/2012, non ha ritenuto non attendibili le dichiarazioni della persona offesa, ha ritenuto solo la carenza di motivazione, nella parte della sentenza della Corte di Appello in cui ha richiamato la sentenza appellata, senza aver dato la prova di aver prestato quella maggiore attenzione richiesta nella valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, prima di addivenire ad una sentenza di condanna.
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