Giorni fa ho letto un articolo su una donna che denunciava il reato di violenza sessuale accaduto nel metaverso[1]. Dopo un primo momento di sbigottimento ho cominciato a ragionare (non tanto sul reato di violenza sessuale) ma sulle possibili implicazioni di questa nuova realtà virtuale con il diritto penale. Ho cercato di approfondire il discorso ma non ho trovato un granché. Con questo articolo vorrei cominciare ad offrire spunti di riflessione tra diritto penale e realtà virtuale o Metaverso che oramai sta diventando sempre più presente nella realtà terrena.
Cosè il Metaverso e la realtà virtuale.
Il Metaverso è un ambiente virtuale nel quale una persona, con il proprio avatar[2], vive, mangia, lavora e tesse relazioni sociali. Questo già esiste da anni ma la vera novità è stata quella di associare la realtà virtuale a dei visori. Questi offrono la possibilità di essere fisicamente proiettati all’interno della realtà virtuale al punto da trasformare il mondo virtuale in una integrazione tra la realtà fisica ed il mondo digitale. Tutto sembra reale, tangibile e non c’è più quel filtro che prima veniva creato dallo schermo del pc.
Decine di aziende stanno investendo milioni su questa tecnologia ed oggi è già possibile nel metaverso fare transazioni in bitcoin[3] (o altre monete virtuali), comprare e vendere oggetti virtuali (NFT[4])
Quali sono le domande che mi sono posto e perché.
Non mi voglio addentrare nel discorso se è reato o meno la violenza sessuale nel metaverso. Già si leggono fonti autorevoli che lo escludono[5] ed altre che non lo escludono[6] ma quello che mi ha fatto pensare sono state le dichiarazioni della “vittima”. Infatti, Nina Jane Patel[7], a fine maggio 2022, dichiarando di aver subito una violenza sessuale nel Metaverso di Horizon Worlds[8] affermando che: “[…] la mia risposta fisiologica e psicologica è stata come se quella brutta cosa fosse accaduta nella realtà. L’attacco, 1 minuto dopo essere entrata in Horizon, mi ha colto di sorpresa, terrorizzata, paralizzata. Non sono nemmeno riuscita a mettere in atto la barriera di sicurezza. È stato un vero incubo”[9].
A questo punto (ripeto, tralasciando l’aspetto della violenza sessuale) mi sono domandato: perché un mondo virtuale dovrebbe avere una barriera di sicurezza (Safe Zone)[10]? È possibile commettere dei reati caratterizzati dalla violenza morale o psicologica all’interno di un mondo virtuale? Come per esempio: il reato di molestie, di violenza privata, stalking, minacce ecc. ecc.?
Considerazioni preliminari.
Prima di effettuare l’analisi giuridica devo necessariamente proseguire con alcune considerazioni che ho fatto dopo che mi sono posto le domande. Se Zuckerberg ha avuto la necessità di creare una Safe Zone, significa che, almeno sotto il punto di vista psicologico, il metaverso può essere pericoloso. O meglio, nel momento in cui la realtà virtuale è talmente assorbente ed è talmente coinvolgente da non far più comprendere il limite tra la realtà e la finzione, ecco che le emozioni, gli stimoli esterni e tutte le sensazioni vengono considerate reali. Reali al punto che è stata creata la Safe Zone.
A questo si aggiunge che oltre alla realtà virtuale questi strumenti sono dotati anche di realtà aumentata. Ovvero strumenti atti a dare percezioni sempre più forti al punto da offrire all’utente un vero e proprio senso di immersione[11].
Considerazioni giuridiche tra metaverso e diritto penale.
In pochissimi hanno affrontato l’aspetto generale della vicenda. Si contano sulle dita di una mano gli articoli trovati. Quello più interessante è stato scritto da Giurisprudenza Penale web.
Le osservazioni dell’avv. Continiello.
Secondo l’Avv. Continiello[12] le azioni poste in essere da un avatar nei confronti di un altro utente del Metaverso dovrebbero/potrebbero essere ricondotte a mere intenzioni e/o pensieri e pertanto non punibili[13]. Questo in quanto il nostro sistema penale è caratterizzato dal principio di materialità ovvero nessuna offesa, per quanto grave e lesiva, potrà essere ritenuta penalmente rilevante senza un’azione che ne sia la causa. la materialità del fatto di reato può andare dalla estrinsecazione minima dell’inizio dell’azione (come, per esempio, i reati in forma tentata o di attentato), a quella intermedia (come i reati di mera condotta), fino a quelli della realizzazione dell’evento (reati di evento).
Il legislatore negli ultimi anni ha modificato molto il diritto penale assegnando, in alcuni casi, alla vittima il ruolo di definire (seppur con delle limitazioni di carattere oggettivo) se un fatto costituisce reato o meno. Immaginiamo lo Stalking (leggi qui) nel quale il medesimo comportamento del soggetto agente può, nei confronti di un soggetto costituire reato, mentre per un altro no (immaginiamo lo stalker che appartiene alla classificazione del corteggiatore incapace). Sicuramente questo allargamento del diritto penale, già contestato dal Prof Sgubbi[14], è pericoloso.
Secondo il Prof. Sgubbi si è venuta a creare “indebita assimilazione fra ragione di giustizia quale risoluzione imparziale di un conflitto e ragione di parte quale soddisfazione unilaterale del proprio personale interesse”, è anche perché si è imposta una “sensazione puramente soggettiva di verità”, secondo la mentalità perversa dell’ “it’s true because i feel it” (è vero perché lo sento), che ha dato vita alla categoria del “reato percepito”, con buona pace dei principi di materialità e di offensività.
Le mie osservazioni.
Personalmente non condivido le osservazioni svolte dal Collega Continiello in quanto ritengo che l’avatar non sia altro che la longa manus del vero soggetto agente. Un mero pensiero non si traduce in un movimento dell’avatar e, pertanto, si rappresenta una vera e propria volontà di porre in essere una azione con la successiva conseguenza. Conseguenza che si traduce in emozioni, sensazioni ed appagamento del soggetto agente con conseguenti sensazioni negative, turbamenti e problemi per il soggetto passivo; d’altronde come nella realtà. Questo, ovviamente, non si traduce in una immediata ed automatica possibilità di commettere un reato di stalking nel Metaverso, ma di certo la questione va approfondita.
Però la domanda che mi pongo è: perché una persona non dovrebbe entrare nel metaverso per paura di determinati avatar? E se poi a causa delle azioni di altri avatar io dovessi avere nel mondo reale delle difficoltà relazionali? Se le paure create dagli avatar si dovessero trasfondere nel mondo reale?
Inoltre, non dimentichiamoci che dove esistono transazioni economiche (come nel metaverso) fatte con bitcoin e quindi con scambio di denaro, esistono truffe. Ed anche qui il discorso è complesso.
Conclusioni.
In conclusione, ritengo che questo sia un dibattito appena cominciato e che aprirà numerosi tavoli di lavoro. Credo che il tutto debba partire da una definizione giuridica del metaverso. Solo in base a quello si potrà poi parlare di possibili reati o meno.
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Note.
[1] Il termine Metaverse fu coniato da Neal Stephenson nel libro Snow Crash del 1992.
[2] “Rappresentazione grafica e virtuale di un visitatore di un sito web” (Fonte dizionario Nuovo Devoto – Oli Edizione maggio 2022).
[3] Unità di criptomoneta coniata nel 2009. Una vera e propria moneta in formato elettronico (Fonte dizionario Nuovo Devoto – Oli Edizione maggio 2022) che ha il suo corrispettivo nella valuta reale. È possibile acquistarla ed è quotata in borsa. Ad oggi 1 bitcoin vale € 19.337,92. Il suo picco massimo è stato nel novembre 2021 quando valeva oltre € 56.000.
[4] NFT Non fungible token: sono opere d’arte virtuali che vengono generate attraverso la blockchain. Questa garantisce la paternità dell’opera e/o il legittimo proprietario nelle varie vendite.
[5] CNF News Fonte (clicca qui) affermando che “Per quanto in Italia la violenza sessuale richieda una materialità (è richiesto il compimento di “atti sessuali” ai sensi dell’articolo 609 bis del Codice penale), il sexual harrassment online sarà una delle sfide che il legislatore penale dovrà affrontare nel prossimo futuro”.
[6] Altalex Fonte clicca qui affermando che “Si può quindi affermare che, secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, nella violenza sessuale commessa con strumenti telematici di comunicazione a distanza, la mancanza di contatto fisico tra l’agente e la vittima non è idonea né ad escludere la commissione del reato ex art. 609-bis c.p., né a garantire il riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di minore gravità.”
Note.
[7] Patel è una ricercatrice informatica che era entrata nel metaverso per scopi di studio in merito ai meccanismi dell’interazione tra persone e la realtà virtuale.
[8] Il Metaverso creato da Zuckerberg proprietario di Facebook. Non a caso la società Facebook da poco ha cambiato nome in Meta.
[9] Fonte La Repubblica (clicca qui).
[10] La Safe Zone è una sorta di stanza di protezione isolata dal mondo virtuale in cui si trova. Un luogo nel quale l’utente, sentendosi in difficoltà e cliccando un tasto, viene catapultato e nel quale non può essere raggiunto da nessuno.
[11] Questo è stato definito “Effetto Proteus”. Si ottiene con input acustici e visivi e tattili (considerando che oltre a visori e caschi si utilizzano nel metaverso anche dei guanti speciali) Fonte web (clicca qui).
[12] Avvocato del Foro di Milano in Giurisprudenza Penale web 2022-5.
[13] In base al principio secondo il quale nessuno può subire una pena per i suoi pensieri “cogitationis poenam nemo patitur”.
[14] Prof Avv. Filippo Sgubbi in “Il diritto penale totale” Edizione 2019.