La Palombelli, durante una puntata della trasmissione Forum del 16 settembre 2021, in relazione al femminicidio ha detto “[…] a volte però è lecito anche domandarsi, questi uomini erano completamente fuori di testa completamente onnubilati oppure c’è stato anche un comportamento esasperante, aggressivo dall’altra parte? È una domanda, dobbiamo farcela per forza […]” (Vedi il video). Queste sue parole hanno scatenato l’ira del web! Premesso che ogni forma di violenza (tra cui anche i femminicidi) va condannata e non può in alcun modo essere accettata, vorrei analizzare in chiave critica le sue parole senza entrare nella polemica futile e sterile che sto vedendo in queste ore.
La polemica.
Personalmente ritengo che la polemica sui social sia nata perché la Palombelli non ha anticipato quelle parole da una frase del tipo “ogni forma di violenza è da condannare”. È pur vero che chi la segue o la conosce televisivamente parlando, è perfettamente consapevole della sua avversione a qualunque forma di violenza. (Vedi il video della Palombelli con il quale spiega la sua espressione). Sicuramente (e personalmente) il concetto era da esprimere in altre parole ma non sempre facile. Certo è che se non si stesse parlando di femminicidio, (ma di una donna che uccide il compagno), queste polemiche non ci sarebbero state.
Le parole della Palombelli.
Innanzitutto la Palombelli ha utilizzato la parola “causato” ovvero riprende il concetto di causa ed effetto. Faccio un esempio: il buco nel muro è stato causato da 10 martellate. Giusto o sbagliato che sia il buco, la causa è stata quella. Causare un evento non significa giustificarlo nè tantomeno approvarlo. La causa di un fatto non è altro che il suo fattore scatenante.
Ora se analizziamo il discorso della Palombelli, vedremo che lei non giustifica affatto il femminicidio o la violenza in generale. Pone solo l’accento su un aspetto che è tutt’altro che da sottovalutare. Anche nella giurisprudenza si trovano sentenze con le quali alcuni comportamenti illeciti reiterati nel tempo (seppur non considerata quale giustificazione) possono rappresentare una attenuante. Non è altro che il concetto della provocazione per accumulo.
Se io con il mio comportamento provoco una reazione, al fine di valutare la gravità della mia reazione devo necessariamente valutare anche il comportamento iniziale. Questo lo dice il codice penale all’articolo 62 bis che, nel prevedere le circostanze attenuanti comuni al numero 2 recita: “l’aver reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui”.
La provocazione per accumulo.
Senza entrare nella polemica assolutamente fuori luogo sul fatto che allora tutto può essere giustificato (perché non è assolutamente vero) e senza spiegare tutto l’iter logico della Corte Suprema di Cassazione (che ho già spiegato anni fa in questo articolo) ricordo che la sentenza n. 28292 del 2017 prevedendo la cosiddetta provocazione per accumulo, ha infatti sorpassato il criterio della proporzionalità tra il singolo fatto e la singola reazione. Infatti è stata ritenuta applicabile la circostanza attenuante della provocazione in costanza di una lunga serie di fatti ingiusti, da soli non adeguati a determinare una reazione giustificata, oggettivamente idonei (nel loro insieme) a creare uno stato di ira crescente nel tempo tale da provocare alla fine una reazione a prima vista del tutto sproporzionata rispetto al singolo fatto ingiusto.
Cosa dice la Giurisprudenza.
Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione, pur nella forma c.d. “per accumulo”, si richiede la prova dell’esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l’esplosione, in relazione ed in occasione di un ultimo episodio, pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo, la cui esistenza è, tuttavia, da escludersi, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima, allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e talmente inadeguata rispetto all’ultimo episodio dal quale trae origine, da fare escludere la sussistenza di un nesso causale tra offesa, sia pure potenziata dall’accumulo, e reazione.
(Nella fattispecie, la Corte ha annullato con rinvio la decisione con cui la Corte di assise di appello. Infatti quest’ultima aveva escluso l’attenuante della provocazione nei confronti dell’imputato, che aveva ucciso il genero, esplodendo al suo indirizzo sei colpi di pistola, non verificando se l’azione fosse da collegare alla condizione di persistente tensione emotiva nella quale versava da tempo l’imputato per la condizione di disagio familiare patita dalla figlia, che aveva presentato diverse querele nei confronti del coniuge, riacutizzata da un ultimo episodio vessatorio compiuto dalla vittima, che si era rifiutata di colloquiare con il suocero per un chiarimento in merito alla situazione di tensione che si era determinata con la moglie)
In conclusione
Non esiste forma di violenza, sia fisica che psicologica, che possa essere giustificata. E’ pur vero che anni di vessazioni, di soprusi e di angherie poste in essere da una parte, possono causare nell’essere umano (quindi provocare dall’altra parte) una reazione spropositata che deve essere sempre condannata, ma sicuramente con una pena più mite.
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