Oggi non esiste reato che non possa essere provato mediante l’acquisizione della copia forense del cellulare o del pc. Infatti mail, messaggi, dati del gps, ecc sono indispensabili per gli inquirenti al fine di provare la commissione di un fatto. (Approfondisci l’aspetto della prova digitale nel processo penale). Purtroppo la ricerca delle prove fatta mediante la copia forense è indiscriminata e viene effettuata dalla polizia giudiziaria a 360 gradi. Ma non dovrebbe essere così. È diverso tempo che sostengo la totale assenza del rispetto dei principi generali e che, dopo il sequestro di un cellulare (pc, tablet o altro), questo venga cannibalizzato dei suoi dati.
Ad ottobre del 2021, il Procuratore Generale[1] di Trento, Dott. Giovanni Ilarda, ha evidenziato la problematica inviando una nota di cui riporterò qui i passi essenziali. (Scarica la nota cliccando qui)
Differenza tra contenuto e dispositivo mobile (cellulare, pc o altro).
Il PG di Trento effettua una distinzione tra il dato acquisito (la prova digitale) e lo strumento che lo conteneva. Infatti, nella sua nota viene evidenziata la necessità di restituire immediatamente il dispositivo non appena sono stati acquisiti i dati mediante copia forense. Questo perché sicuramente il sequestro del cellulare risulta legittimo ai fini di acquisire (per esempio) la messaggistica, ma a condizione che il sequestro sia temporaneo.
“In materia di sequestri, infatti, per principio giurisprudenziale ormai acquisito, trovano applicazione gli stessi criteri di proporzionalità e di adeguatezza operanti per le misure cautelari personali ed il sequestro del dispositivo di comunicazione mobile (o di un computer) può dirsi proporzionato solo se temporaneo <<perché allorquando l’individuazione degli elementi necessari ai fini dell’accertamento dei fatti non sia immediata, ma presupponga operazioni non eseguibili dagli operanti incaricati dell’esecuzione del sequestro, quali un’analisi tecnica […] ovvero il vaglio di ampia mole di dati, il principio di proporzionalità del sequestro non può prescindere dall’apprezzamento del dato temporale. L’autorità giudiziaria, quindi, può disporre il sequestro dei contenuti molto estesi, provvedendo, tuttavia, nel rispetto del principio di proporzionalità ed adeguatezza, alla immediata restituzione delle cose sottoposte a vincolo non appena sia decorso il tempo ragionevolmente necessario per gli accertamenti.[2] >>”.
Analisi dei dati ed estrazione dei soli dati rilevanti ai fini dell’indagine.
Il principio di proporzionalità impone inoltre che il sequestro sia mantenuto solo ed esclusivamente sui soli dati rilevanti ai fini delle indagini. Questo in quanto l’articolo 253, comma 1, del codice di procedura penale è chiaro nell’indicare che il sequestro probatorio è consentito solo ed esclusivamente per le cose (pertinenti al reato) necessarie per l’accertamento dei fatti. da qui il conseguente obbligo di estrazione dei soli dati d’interesse e conseguenziale restituzione della copia forense. Infatti, l’articolo 262 comma 1, codice di procedura penale, afferma che quando non è necessario mantenere il sequestro ai fini della prova, le cose sequestrate devono essere restituite.
Di contro, un indiscriminato riversamento nel procedimento della copia forense nella sua interezza, comprendente chat e messaggi irrilevanti per il processo, costituiscono una inammissibile ed illecita diffusione di dati che attengono alla sfera personale del soggetto. Sfera personale che è inviolabile e la cui violazione potrebbe generare la divulgazione di fatti lesivi dell’onorabilità e della reputazione altrui. Oltre che dati personalissimi come tendenze sessuali, opinioni politiche e religiose, sfera privata e rapporti sentimentali, dati sanitari ecc.
Cosa dice la Cassazione.
“… una volta creata la c.d. copia integrale (Ndr. Copia forense), essa non rileva in sé come cosa pertinente al reato in quanto essa contiene un insieme di dati indistinti e magmatici rispetto ai quali nessuna funzione selettiva è stata compiuta al fine di verificare il nesso di strumentalità tra res, reato ed esigenza probatoria. La c.d. copia integrale, cioè, contiene l’insieme dei dati contenuti nel contenitore (pc, tablet, telefono), ma non soddisfa affatto l’esigenza indifferibile di porre sotto sequestro solo il materiale digitale che sia pertinente rispetto al reato per cui si procede e che svolga una necessaria funzione probatoria. Ne deriva […] che la c.d. copia integrale costituisce solo una copia mezzo, cioè una copia che consente di restituire il contenitore, ma che non legittima affatto il trattenimento dell’insieme dei dati appresi.
La copia integrale consente di fare, dopo il sequestro, ciò che naturalmente avrebbe dovuto essere fatto prima, cioè la verifica di quali, tra i dati contenuti nel contenitore, siano quelli pertinenti rispetto al reato. La c.d. copia integrale è una copia servente, una copia mezzo e non una copia fine. […] Ne consegue che il Pubblico Ministero:
- Non può trattenere la c.d. copia integrale dei dati appresi se non per il tempo strettamente necessario alla loro selezione.
- E’ tenuto a predisporre una adeguata organizzazione per compiere la selezione in questione nel tempo più breve possibile soprattutto nel caso in cui i dati siano stati sequestrati a persone estranee al reato per cui si procede.
- Compiute le operazioni di selezione la c.d. copia integrale deve essere restituita agli aventi diritto” [3].
I duplicati della copia forense messi a disposizione della Polizia Giudiziaria.
È prassi abbastanza comune che oltra alla copia forense fatta per il Pubblico Ministero, ne viene fatta un’altra per la polizia giudiziaria. Anche tali copie, di cui è molto dubbia la loro legittimità, vanno immediatamente restituite all’avente diritto o distrutte una volta effettuata la selezione dei dati rilevanti.
Mantenere queste specifiche copie forensi significherebbe creare veri e propri archivi di massa paralleli e distinti da quelli autorizzati[4], formati, accessibili e gestiti fuori dai limiti e dei divieti e dei controlli del Garante della privacy. Tali archivi paralleli, che resterebbero a disposizione della polizia, potrebbero contenere anche dati personalissimi, contatti, tendenze sessuali, opinioni politiche, credo religioso, dati riguardanti la salute, rapporti personali e sentimentali e qualunque altro dato sensibile che attiene alla sfera più intima della persona.
“Le Sezioni Unite della Cassazione, infatti, hanno evidenziato che la legittimità dell’intrusione nella sfera privata e la legalità dell’acquisizione espletabile non possono ritenersi soddisfatte mediante la mera reintegrazione del supporto fisico, ma presuppongono necessariamente la protezione del rapporto di <<disponibilità esclusiva dell’informazione acquisita facente capo all’avente diritto>> il cui interesse[5] […] si connette anche al ripristino del diritto all’esclusiva disponibilità delle informazioni, alla reintegrazione della privacy o del diritto al segreto violati dal provvedimento ablativo”.
Accertamento tecnico diretto alla selezione dei dati.
La copia forense deve essere utilizzata esclusivamente per la selezione dei dati rilevanti per le indagini relativamente al reato per il quale si procede. Questo imporrebbe che, nel disporre l’accertamento, vengano definite, con molta dovizia di particolari, la tipologia dei dati da selezionare. Purtroppo generalmente la polizia giudiziaria viene incaricata di effettuare una non meglio precisata analisi dei dati senza alcuna definizione del perimetro operativo. Quindi viene rilasciato un vero e proprio mandato in bianco rimettendo alla polizia giudiziaria la scelta dei dati da selezionare.
Questo però non considera che il sequestro può avere ad oggetto solo le cose (o i dati informatici come per esempio le conversazioni chat) “necessarie per l’accertamento dei fatti (articolo 253 comma 1 del codice di procedura penale) e che un sequestro strutturalmente asimmetrico rispetto alla notizia reato per cui si procede, finisce per assumere una non consentita funzione esplorativa, finalizzata alla eventuale acquisizione diretta o indiretta, di altre notizie di reato diverse ed ulteriori rispetto a quella per cui si procede”[6]
Nel caso in cui accidentalmente la polizia giudiziaria dovesse venire a conoscenza di altri fatti costituenti reato, anche se privi di valore probatorio ai fini dell’accertamento del reato per il quale si procede, non possono essere riversati all’interno del relativo procedimento ma devono formare oggetto di separata comunicazione di reato.
In conclusione.
Purtroppo questa interpretazione, sul corretto comportamento da parte dei Pubblici Ministeri e della Polizia Giudiziaria, è ancora ristretta ad una piccolissima cerchia di magistrati. Dovrebbe essere la norma e soprattutto, dovremmo essere noi avvocati, qualora questo non accada, ad opporci e far valere i principi generali del nostro ordinamento per poter assicurare il corretto rispetto delle regole processuali.
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Note.
[1] Della Procura Generale di Trento.
[2] Sentenza Suprema Corte di Cassazione n. 4857/2018.
[3] Sentenza Suprema Corte di Cassazione n. 13156/2020 e 34265/2020.
[4] Come il CED istituito presso il Ministero dell’Interno ai sensi della Legge 121 del 1981.
[5] Sentenza Suprema Corte di Cassazione SS. UU. N. 40963 del 2017; conforme Sentenza Suprema Corte di Cassazione n. 4857 del 2018.
[6] Sentenza Suprema Corte di Cassazione 34265/2020.